Lucius Cornelius Sulla - a denarius portrait issued by his grandsonLucius Cornelius Sulla
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Sulla

Lucius Cornelius Sulla Felix (Latin: L·CORNELIVS·L·F·P·N·SVLLA·FELIX) ¹ (ca. 138 BC–78 BC) Roman General and Dictator, was usually known simply as Sulla. His agnomen Felix — the fortunate — was attained later in his life, due to his legendary luck as a general. Sulla's name is also seen as "Silla", presumably due to corruption of ancient writing "SVILLA" (Suilla), that went in the two directions of Sulla and Silla. It is also occasionally seen as "Sylla". more...

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Early years

Sulla was born into an impoverished branch of the Cornelii gens, or family, of aristocratic patrician stock but without influence in the city. Without any money, Sulla's first years were spent in the backstage of Rome's political elite. The means by which Sulla attained the fortune that enabled him to ascend to senatorial rank are not clear, although some sources refer to family inheritances.

In 107 BC, Sulla was nominated quaestor to Gaius Marius, who was taking control of the Roman army in the war against King Jugurtha of Numidia. The Jugurthine war had started in 112 BC with humiliating results for Rome. Marius' army ultimately defeated the enemy in 106 BC, thanks to Sulla's initiative to capture the Numidian king by persuading his family to betray him. The publicity attracted by this feat boosted Sulla's political career, but earned him bitter resentment from Marius. Nevertheless, Sulla continued to serve on Marius' staff until the campaign against the Germanic Teutones and Cimbri tribes in Gaul 104–103 BC. At this time, Sulla transferred to the army of Quintus Lutatius Catulus, Marius' rival consul. With Sulla's assistance, Marius and Catulus defeated the Cimbri in the Battle of Vercellae in 101 BC.

The Social War

Returning to Rome, Sulla was elected 'Praetor urbanus', through massive bribery, according to rumour. Afterwards, he was appointed to the province of Cilicia (in modern Turkey). In 92 BC Sulla left the East and returned to Rome, where he aligned himself with the opposition to Gaius Marius. On the verge of the Social War (91–88 BC), the Roman aristocracy and Senate were starting to fear Marius' ambition, which had already given him five consulships in a row from 104 BC to 100 BC. In this last rebellion of the Italian allies, Sulla served with brilliance as a general, and outshone both Marius and the consul Gnaeus Pompeius Strabo (the father of Pompey). For example, in 89 BC Sulla captured Aeclanum, the chief town of Hirpini, by setting the wooden breastwork which defended it on fire. As a result, he was elected consul for the first time in 88 BC, with Quintus Pompeius Rufus as his colleague.

In the East. The First Civil War

As the consul of Rome, Sulla prepared to depart once more for the East, in order to fight the first Mithridatic War, by the appointment of the Senate. But he would leave trouble behind him. Marius was now an old man, but he still had the ambition to lead the Roman armies against King Mithridates VI of Pontus. Marius convinced the tribune P. Sulpicius Rufus to call an assembly and revert the Senate's decision on Sulla's command. Sulpicius also used the assemblies to eject Senators from the Senate until there were not enough senators needed to form a quorum. As violence in the forum ensued and the efforts of the nobles to effect a public lynching similar to what had happenned to the brothers Gracchi and Saturninus were smashed by the gladitatorial bodyguard of Sulpicius, Sulla went to the house of Marius and made a personnel plea to stop the violence which was ignored.

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PASOLINI SI RILEGGE*
From Romanic Review, 1/1/05 by Tuccini, Giona

Tristans, ges non auretz de me, / qu'eu m'en vau, chaitius, no sai on.

De chantar me gic e-m recre, / e de joi e d'arnor m'escon.

BERNART DE VENTADORN, Can vet la lauzeta mover

Tristano, nulla avrete da me, /perché me ne vado infelice, non so dove.

Rinuncio a cantare, desisto, / e abiuro la gioia e l'amore.

BERNART DE VENTADORN, Quando vedo l'allodola muovere

I

Com'è stato ampiamente assodato dalla critica, l'ultimo Pasolini è perennemente in bilico tra istinto e criterio, tra ragione e sentimento, come se la coppia antitetica seicentesca esprit de finesse ed esprit de géométrie corrispondesse ad un medesimo aspetto della vita del singolo e della sua intelligenza. Lo scrittore piega la sua predisposizione pedagogica alle briglie del tornaconto pur senza alterarla nella sostanza; valuta ogni cosa passandola prima al setaccio degli istinti perché, corne si apprende dal pensiero filosofico di Wittgenstein e di Piaget, inclinazione ed intenzione alloggiano nella stessa dimora.

Più sottilmente si recepisce, nell'opera dell'ultimo Pasolini, l'impossibilità di una dissociazione tra cultura dell'anima ed emancipazione razionale dal progresse, tema affrontato specialmente negli Scritti corsari e ne La nuova gioventù. In queste carte la critica dell'autore è tutta volta ad attaccare i "meglio" giovani di un tempo e i "nuovi" di adesso, per avere tradito ed ammorbato gli antichi valori popolari, pagandone il prezzo con la propria grandezza e libertà. La riorganizzazione delle masse-seconde il criterio di una rimozione cognitiva del corredo morale e della sua influenza, il restringimento dei movimenti intellettuali ad una storia sempre più asfittica, la riconfigurazione di una classe-alimenta il paradosso del poeta nel riconsiderare il suo messaggio non più votato alla filantropia e alla celebrazione dell'altro. Si traita invece di un appelle vinto da una tentazione misantropica, ancora più amara perché impossibilitata ad essere netta e incondizionata; tentazione messaggera di lutto e di quella convinzione seconde cui i poeti appartengono sempre a un'altra civiltà. Con questo precetto si chiude un discorso circolare sulla poesia che l'autore aveva intrapreso agli albori della sua esperienza letteraria e che, in definitiva, va riconosciuto come premessa ineliminabile ad un'attenta lettura pasoliniana.

La poesia, che ha l'incombenza di contenere in sé la realtà e il valore della sua condanna, è quanto resta a Pasolini che, con il passare del tempo, non si batte per la tutela di quello che ha scritto, ma lotta per preservare il suo diritto ad avere scritto: la sua chiamata ad essere poeta è di gran lunga più rilevante della sua poesia. Tornano i vecchi motivi della sua giovinezza a tormentargli la coscienza, per la consapevolezza di averli perduti, di averli slontanati. Torna anche un tono elegiaco che ricorda certi versi degli anni Cinquanta. Non più represso nella sua natura accanita, Pasolini ripercorre questa consapevolezza con la lucidità di uno sguardo indietro nel tempo, in occasione di una raccolta che ha personalmente allestito nel 1970:

Ciò che in esso mi colpisce-corne se me ne fossi estraniato, ma non è vero-è un diffuso senso di scoraggiante infelicità: un'infelicità facente parte della lingua stessa, come un suo dato riducibile in quantità e quasi in fisicità. Questo senso (quasi un diritto) di essere felice, è talmente predominante, che la stessa felicità sensuale (di cui del resto il libro è pieno, ma corne con colpa) ne è offuscata; e così l'idealismo civile. Ciò che mi colpisce ancora, rileggendo questi versi, è rendermi conto di quanto fosse ingenua l'espansività con cui li scrivevo: proprio corne se scrivessi per chi non potesse volermi che un gran bene. Adesso capisco perché sono stato tanto sospetto e odiato1.

Con la seconda abiura l'intellettuale comunica al mondo, tramite la scrittura e la sua arte in pellicola, di sentirsi motivo di scandalo e di stare, al contempo, dalla parte del giusto, conforme cioè ai precetti genuini della dritta coscienza intellettuale. Il porsi tra condanna e discernimento non consente all'autore dipiegarsi sulle sue convinzioni risolutivamente, né di chiudersi nei valori dal cui fondo ha sempre attinto la speranza2: la scrittura, il tornare ellittico di certi lemmi, i tratti di un'antica sinopia friulana, diventano i mezzi prediletti per esprimere la realtà e la rinnovata3 disapprovazione di uno che "non ci sta." In questo senso ecco come la sua opera, per non divenire anch'essa letame per i sogni, deve necessariamente sottrarsi alia seduzione di un uso autoreferenziale dell'espressione e rappresentare il dilemma che sussiste fra coerenza e abnegazione, fra dolo ed innocenza e ancora tra "puro e negletto"4. Pasolini vedeva nella poesia, nel carattere intimo e confidenziale di questa, la possibilité di regolarizzare questi scompensi tramite il dialogo ed il dibattito, tramite l'insegnamento e l'esortazione, che rammentano volentieri la figura di Cristo e di Socrate.

Malgrado il carattere sentenzioso delle ultime opere, (basti pensare a Scritti corsari o alla stessa La nuova gioventù), l'estremo messaggio del poeta-sempre più icastico e sintetico come una descrizione-è un dispositivo di rottura e di successo, nelle corde della letteratura italiana di questo secolo. Sia in Scritti corsari che nei motteggi de La nuova gioventù l'entusiasmo e ogni lascito ideale soggiacciono al senso mortuario di una coscienza esasperata non più impresaria di un'ironia scherzosa, bensi di un sarcasmo lercio e pieno di disgusto5. Entrambe le opere sono affratellabili per una stessa sofferenza derivante dal senso della disfatta dell'individuo6 e della sua dignità, in cui la parola "ritorno" è tema d'altri tempi7 oppure una falsa convinzione dei nostri giorni8. E con Giudici, Volponi e Zanzotto, Pasolini verra ricordato per aver reso eterna e padrona di uno scenario sacro e inviolabile-almeno nel ricordo-la società italiana spesso rivissuta, da parte dello scrittore, con il singolare contributo di Penna9.

Come ultima tappa dell'epilogo pasoliniano è la ritrattazione della storia, la smentita del sogno di una cosa verso cui tendeva e a cui torna a guardare con vilipendio, giocato tra apostasia e autoreferenzialità a seconda delle disposizioni d'animo. La storia è esistita e continua ad esistere confondendosi con la dimensione privata del poeta, entrambe segnano un moto discensionale, un'unica stagione che matura sempre più nella recrudescenza. La durezza politica e il rigore criminaloide del fascismo mussoliniano-esperito e sofferto nella figura paterna-si ripete, corne in un processo degenerante e funereo, nell'avvento ancora più mostruoso del neo-capitalismo e nell'inarrestabile avanzare di uno male che, in Salò o le 120 giornate di Sodoma, il cineasta bestemmia corne allegoria della pratica sadico-fascista.

Una peculiarità di rilievo, da ascrivere all'ultimo Pasolini, è inoltre la rivisitazione del passato in concomitanza al senso di una diversità affermata ma sempre avvertita corne scarto tra purezza ed esclusione dalla storia; condizione che riproduce tra l'altro la situazione della poesia divenuta realtà astratta, servile e demistificata. Testimoniare la propria esclusione significa per il casarsese essere intellettuale fino in fondo, confinato ad una verità distaccata e respinta dal mondo ma, in quanto taie, ancora padrona di una sua eroicità. Accettare questa condizione significa, agli occhi del mondo, un'ulteriore forma di scandalo: Pasolini rimane coerente alla sua testimonianza di "uomo che sa", seppure sia costretto ad articolare la sua bestemmia dai bordi del mondo. Corne una forza del passato irrompe nel presente, sconvolgendone ereticamente i criteri. E negli ultimi tempi torna in lui la primigenia consapevolezza, già ampiamente esperita ne Le ceneri di Gramsci, di uno che non può seguire l'altro, che non puo integrarsi, ostinandosi a segnare il suo cammino nella societé che cambia. Lui è un poeta e, in quanto taie, appartiene ad un'altra realtà, ad un'altra natura, ad una diversa consapevolezza soggettiva di se, dei propri contenuti intellettuali e della propria condizione. Pur quanto sia doloroso il dramma della differenza, dell'abiura e dell'inconciliabilità, questo è ciò di cui si alimenta il cantus che, come il poeta, non varia il suo messaggio, ma rinnova la sua opposizione granitica al moto declinante del mondo.

Il discorso enunciate come un'attenta apologia della propria letteraturadifficile da condurre perché costretta a riconfigurarsi al cospetto della massificazione dell'individuo-rappresenta lo schema di accusa e di difesa dell'ultimo Pasolini. L'elegia viene svuotata della sua sostanza arcaica e sacrale (il mondo non la coglierebbe più!) per dare alito ad una secca argomentazione acuta ed impeccabile corne la lama di un coltello. La nuova gioventù diventa quindi terreno ferace a favore delPattecchimento dell'improvvisata e della provocazione; motteggi accresciuti di senso con l'impiego dell'anafora e di tutte le strategie stilistiche proprie di una retorica non più sottile, atta a persuadere, bensi irrompente ed incisiva. E la retorica di quei poemetti in prosa che non sono più componimenti civili (alla maniera de Le ceneri di Gramsci) ma piuttosto gonfi di livore e di bando. La tendenza a livellare le coscienze, da parte di un sistema falsamente tollerante, viene promosso ed affrontato ne La nuova gioventù con scrupolosità e concordanza, affinché il suo messaggio di ricusa non venga equivocato. Al pragma del genio neocapitalista, Pasolini non oppone più il magma, bensì, come per ritorsione mimetica, la simmetria di una parola scarna e geometrica nell'intonare la sua angoscia e la sua nescienza d'amore.

Questa essenzialità ricalca l'annuncio funereo condensato nel senso di una frase: "Hic desinit cantus" che affiancata all'aforisma "O esprimersi e morire o restare inespressi e immortali"10 lascia intendere che è finito (desinit) il tempo di parlare ed è giunto (hic) quelle di dare testimonianza a quanto detto con la morte, il momento più elevato della trasgressione sia sul piano linguistico che su quello ideologico della seconda abiura. Il tempo di attesa che separa la fine del cantus dalla fine del poeta, consente allo scrittore di infittire maggiormente i suoi contatti con il lettore ossia, come direbbe Jakobson, questo tempo di passaggio e di attesa assume una funzione fàtica, offrendo al poeta la possibilità di inviare all'interlocutore messaggi quali "Mi segui? Mi ascolti?"11.

Non è difficile intendere, a partire dai testi, che i propositi di Pasolini espressi nella sua opera sono antiaccademici e contro ogni tentazione di incasellamento dei generi. Il suo impegno maggiore è da riconoscere nell'impiego di una lingua "mobile." Agli esordi, quella impiegata maggiormente, è la parlata fuori porta poi ripresa negli ultimi frangenti della sua produzione, affinché le iniziative espressive e stilistiche, da lui elaborate, funzionassero da grimaldello di rottura con la centralizzazione e l'assolutizzazione della tradizione linguistica italiana.12

Lo scrittore è anti-istituzionalista anche sul piano ideologico, perché il carattere problematico della sua persona e della sua opera è tutto volto ad essere fruito sotto l'emblema della contraddizione e, più tardi, dell'abiura. Episodi contrapposti si verificano non soltanto tra generi distinti ma anche all'interno di uno stesso ordine di scrittura, se non tra le parole di una medesima frase.13 L'ossimoro, corne unità sostanziale del principio di contraddizione concepito dal poeta, rappresenta il modo con cui l'autore percepisce e comprende la realtà.14 Questa equivalenza riassume il pensiero che l'ultimo Pasolini si è fatto della poesia, della vita, ed è maggiormente ravvisabile nella produzione in versi. Come sostiene Zanzotto "Pasolini, in fin dei conti, non è mai uscito dalla poesia né ha mai abbandonato l'ambizione di una poesia totale, capace di conglobare tutto in se"15.

L'elemento principale, che funge da collante di tutte le parti germinate nell' "abnorme melassa pluristilistica"16 del nostro scrittore, è la volontà di questi a rappresentare sempre e comunque Pelemento reale17. Il suo pensiero, seconde il quale la realtà è decodificabile soltanto mediante l'antitesi, si approssima, per alcuni versi, a quello precedentemente espresso da Hegel: il reale in quanto essenzialmente dialettico e l'identità, come permanenza dell'essere a se stesso e come momento astratto della realtà, vedono la contraddizione in qualità di una "determinazione più profonda ed essenziale", garante della vitalità18. Ma l'elemento della discordia tra il pensiero hegeliano e quello pasoliniano è subito introdotto: secondo la concezione hegeliana i contrari sono destinati a non congiungersi veramente nel momento in cui, nella concretezza del divenire, essi vengono continuamente conciliati nella sintesi che non è unità ma superamento dei contrari. Differentemente, Pasolini si oppone alla "consolante conciliazione dei termini opposti, formulata da Hegel"19, si porta ben oltre l'affermazione del filosofo-che vede il reale non nella contraddizione ma soltanto attraverso di essa-scrivendo "Io, le mie contraddizioni le vivo e ne prendo atto"20. Nel suo romanzo-testamento, Pasolini torna a ribadire:

La contraddizione non è che intermittenza di coesistenza. Hegel naturalmente si è, sia pur divinamente sbagliato. [...]. Di conseguenza i due termini della contraddizione non si superano affatto, ma procedono nell'infinità scambiandosi il diritto ad esistere a una velocità che, per essere soprannaturale, non impedisce che tali due termini coesistenti non possano venir presi in considerazione alternativamente e quindi venire isolati, analizzati solo in sé.21

Non basta prendere atto della contraddizione e della tragedia, ma occorre viverle nel corpo. Scrive l'autore "Io vivo nel mio corpo"22 gli effetti devastanti del neocapitalismo e dell'omologazione socio-culturale. Gli anni "corsari" del poeta segnano l'akmè della materia trattata e riletta: la dimensione infernale di Petrolio, parametre tematico e ideologico da accorpare ad un progetto di romanzo dantesco precedente, invita lo scrittore ad appostarsi non più dalla parte della vita, bensì al di là di questa affinché riproduca, con evidenza ed efficacia, la prospettiva apocalittica di un mondo dissolto nel suo senso. In Petrolio, il personaggio del Merda, già più volte bestemmiato nei componimenti de La nuova gioventù,23 rappresenta il nuovo Riccetto dei romanzi romani e una profonda rettificazione del personaggio di Tommasino. I temi denunciati anteriormente in Scritti corsari e Lettere luterane, vengono riproposti in piena esplicazione espressiva: il braccio del Merda anchilosato, a forza di sorreggere di peso la sua ragazza, simboleggia il trionfo della coppia eterosessuale che, negli ultimi anni, rappresenta per Pasolini il segno più visibile dell'effetto degenerante del conformismo consumistico.

Pasolini arriva a denigrare la grandezza dei tempi passati; si accorge che negli anni dell'idillio friulano, coloro che vivevano in grandezza, accoglievano in seno, già allora, il canchero responsabile della loro nientificazione da parte del capitale. Una debolezza imperdonabile. Da qui deriva l'esigenza dell'autore di rileggere e apprestare una " seconda forma" de La meglio gioventù che, intitolata La nuova gioventù, smonta la luce di quelle liriche e ne rimonta l'oscurità conforme e attuale ai tempi correnti; perché la "seconda forma del tempo" è quella dell'inespressività, "non muore" e quindi "non ha fine"24. Il rifiuto di quei tempi marca, nella storia dello scrittore, l'inizio délla seconda abiura ufficiale, quella che succede al ridicolo decennio ed è sostenuta nella Trilogia della vita.

Ma torniamo un passo indietro. Con La nuova gioventù l'ultimo Pasolini, quelle della seconda forma-come spesso ci ricorda-torna sul poeta friulano che è stato affinché, rileggendo i componimenti in dialetto, possa estrarne il senso di un profondo désespoir estensibile fino alla realtà dei giorni nostri (annunciandone lo sconquasso). Il concetto della morte, motivo antico della sua poesia, è stato, nelle raccolte precedenti, un imponente paradosso: il paradosso dell'"abbastanza"25. Si tratta di una stravaganza che tuttavia presenta una sua logica: ne L'ex vita, componimento confluito poi nell'organico de L'usignolo della Chiesa Cattolica, Pasolini vedeva il proprio corpo "quasi morto". Il tema primario del vedersi morto "con nel cuore il filo di una vita (la mia) che non interessa più" rimanda all'iscrizione, altrettanto piena di senso, posta in fondo ad un disegno del casarsese: Il mondo non mi vuole più e non lo sa. La temperatura emotiva è quella di Ciants di un muàrt (1944) ripreso poi a ridosso della morte reale avvenuta trentun'anni più tardi. Tuttavia i versi "O individuo, o Sosia, tu ti trovi / fatto di me, del mio calore, e ostile / di una morte anteriore al mio morire" consistono in un ripiegamento fantasmatico sul sé, in un'interiorizzazione che retrocede fino ai temi della prenatalità e del doppio; motivi che verranno ampiamente ripresi, in poesia, nei vibranti componimenti di Poesia in forma di rosa e, in particolar modo, nella lirica-dialogo tra un vivo e un morto.26

La dimensione dell'immortalità, verso cui si orienta l'ultimo Pasolini, "scegliendo sempre la vita, la gioventù"27, avvalora il suo senso in parallelo alla nuova stesura della poesia Il dì da la me muàrt ne La nuova gioventù, emblematicamente introdotta dall'epigrafe "Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimarrà solo, ma se morirà darà molto frutto"28. Con questo epigramma Io scrittore rivanga sia il motive del sacrificio umano-concentrato tutto sull'ottimizzazione délia produttività de! terreno-che quello più sottile del sacrificio di una morte secondo valore. NeI poeta di Casarsa émerge la spaccatura tra 1'Io stretto nella sua dolorosa segregazione e gli altri, esultanti nell'aria délia domenica. Nello scambio di battute tra un vivo e un morto, variate dalle note dell'usignolo, i personaggi sono la stessa persona:

Vivo: Sì, ma intanto, giovane infiammato, me ne sto qui nel paese a cantare.

MORTO: No!, sono io questo giovane a cui Aprile canta nel cuore gli amori di un'altra età.29

Il dialogo appena citato costituisce la prima sostanziale dissociazione di Pasolini che verra rinsanguata e reiterata nelle opère successive, fino allo slegamento lampante di Carlo Valletti in Polis e in Tetis. Nella vita è già présente la morte, nella realtà domenicale dilaga la solitudine e il dolore del soggetto, nei panni délia festa si scorgono già quelli che verranno indossati per la sepoltura e nei giovani si rivedono i volti dei padri cambiati dal trascorrere del tempo.30 Da questa separazione, indice di distanza, nasce la scissione, teorizzata in seguito, tra figli, corne padroni potenziali délia vita, e padri, depositari del potere, ossia sovrani dell'utile e délia norma. Pasolini si prospetta, corne in un film, separate in due entità, ma, in definitiva, si schiera fuori da entrambe mettendosi dalla parte délia morte. Dissociandosi in uomo e scrittore-? sarebbe più opportuno dire descrittore-!'ultimo Pasolini torna, con onere di scavo, alla vita interiore, alla sua disperata voglia di morire, di liberarsi di se stesso. A partire dagli anni Sessanta s'oppone alla società che cambia di peggio in peggio. Si oppone senza mai compromettere la sua comunicabilità, il suo rigore talvolta docile. In seguito piega la sua critica ad una secchezza del linguaggio, affida alla bestemmia e all'attacco per verba una tensione espressiva insostenibile, il suo rifiuto del mondo, la sua presa di distanza da questo. Per gradi, affida la sua poesia "pedagogica" alla rovenza di parecchie pagine in bianco, a sequenze fantasma corne testimoni délia logica inconsistenza délia scrittura. Dare morte alla poesia, col silenzio, significa anche astenersi dal rispondere alle critiche ricevute, all'ennesimo insulto carpito, alla polemica dell'ultima ora. Non più un'identità ira Io scrittore e la società è recuperabile perché, sia uno che l'altra, sono disgregati nella loro imità. Pasolini che lontanando si estingue, per ricominciare, affida il suo messaggio estremo al Doppio e alla bravura su un timbro di dolore e di morte.

Ma un vago senso di distanza sembra impossessarsi anche dell'individuo odierno. Dalle ultime descrizioni emergono infatti delle figure anchilosate come marionette, uomini e donne malati di solipsismo e piegati ad un atteggiamento innaturale, come da una forza invisibile. Laddove non c'è più controllo e piena possessione di se stessi si propaga l'assenza, altra forma della distanza. Il mondo, interno al soggetto ed esterno allo scrittore, è dominio di nessuno: la sua misura non è che il repentino svolgersi di uno spasmo isterico o tragicamente inesploso. L'entusiasmo volgare dei giovani contemporanei si solleva come una corazza contro la mancanza di valori, subisce il colpo e divide il nulla. I soggetti in questione sono ragazzi e ragazze ex-proletari, piccoli-borghesi, tutti dal corpo guasto, ragazze torbide come il personaggio di Cinzia in Petrolio, al limite di una pubertà eterna e sprezzante. Il loro corpo stesso diviene motivo di una sceneggiata contraffatta e ridicola, dove il realisme più crudele quadra con l'estremo sconquasso délia coscienza e dei valori. Prendendo come esempio la coppia eterosessuale del Merda e di Cinzia, emblema della falsa felicità e della "buona normalità" etico-sociale, costatiamo che uno è dentro l'altro come in un gioco di matrioske, eppure separati dall'incomunicabilità délia propria ansia e dalla diversa direzione dello sguardo che tanto sa di indifferenza. Nei loro occhi non c'è ribellione, né panico. Non c'è neppure quel senso di attesa che anima gli occhi di Emilia in Teorema, tanto meno quello più amaro di resistenza che parla da solo con l'immagine del pugno contratto lungo la coscia di Odetta e di Julian. NelPopera ultima di Pasolini pesa la sconfitta, l'immobilità délia letteratura privata di ogni sua funzione esplicativa e liberatoria, il senso délia disfatta intellettuale per mano di un turbamento misurato, funesto, odioso.31 Tuttavia, a queste figure dell'alterazione e della discordanza-gli ultimi cadaveri di un'ingenuità perduta-Pasolini oppone il ricordo della sua adolescenza, la luce dei ragazzi che ha amato. Allo stesso modo le ricordanze alte di alcune personalità della letteratura mondiale32 sono altrettanti specchi in cui il poeta cerca il volto della propria coerenza, della grandezza del ruolo del letterato, del pedagogo e del teorico. La separazione dal mondo avviene, in lui, in concomitanza al confronte della propria impotenza col "genocidio." L'ultimo Pasolini è colui che abbandona l'angoscia del mondo per ritirarsi e continuare a pensarla di lontano con pietà ed orrore; è un disertato dell'omologazione e della falsa tolleranza che rinuncia agli altri ma non a se stesso, alla sua coerenza.

Il fatto che lui si rilegga mette in crisi molta della critica fatta sulle sue opere precedenti, in particular modo, sul suo manierismo. La meglio gioventù non è più dissociabile dalla "seconda lettura" che l'autore fa di questa e l'importanza della ri-edizione deve essere colta al di là dell'idea di una prima versione contraddicente la seconda, sensazione fuorviante che il lettore puó riscuotere ad una prima analisi. Sia nella prima che nella seconda forma, il friulano viene adoperato per raccontare la realtà dei tempi correnti. Non sussiste nessuna contraddizione tra la prima e la seconda raccolta, perché Pelemento di congiunzione tra le due opere rimane il dialetto friulano che, in ultima istanza, ha l'incombenza di non farsi tanto motivo di trasparenza, come nei primi esercizi poetici, bensì di oscurare una realtà malcerta di per sé.

La raccolta de L'usignolo della Chiesa Cattolica è la versione italiana dei primi componimenti in friulano e l'anticipazione degli ultimi: corne trait d'union fra i due blocchi è il motivo del "primo-e-ultimo" ossimoricamente espresso tramite una scrittura convalidata all'insegna della sineciosi e di un talento schizzoide. Già a partire da Poesia in forma di rosa è possibile cogliere la tendenza dell'autore ad eludere i precetti poetici della tradizione lirica, corne se dopo Le ceneri di Gramsci e La religione del mio tempo lo scrittore volesse estinguere la voce lirica (prepotentemente affermatasi anche nella prosa) e portare a termine il rigo di una parabola emotiva. Affinché potesse segnare la caduta di un lirismo aureo, inadeguato a farsi voce del mondo, Pasolini si avvale di un friulano che ha finito per detestare, non più verginale ma infetto, un linguaggio atto ad intonare l'oscenità e la corruttela del mondo popolare.

I componimenti scritti tra il 1941 e il 1953, confluiti nella raccolta intitolata La meglio gioventù, contraddicono il tempo corrente, sul piano personale, letterario e politico dello scrittore. Il dialetto, rilevato in tutta la sua pregnanza sociale, corne parola atta ad esprimere la voce del poeta, viene preferito a qualsiasi altra possibilità linguistica essendo il più indicato ad esprimere la realtà.33 Il dialetto friulano de La meglio gioventù contiene in se il senso dell'infanzia e della purezza che capitolano tutte ad un Pasolini giovane, il cantus campestre e gergale accoglie il suono delle campane34, invesca nella parola l'effluvio dei gelsi e quello delle rose, riproduce i sospiri della madre35; una mimesis perfetta, delle percezioni passate, vissuta dall'autore corne una passione mistica, una sorta di febrilismo, una ricerca arcaica.36 Optare per il dialetto significa inoltre, su un piano non più tanto tematico e intimo quanto squisitamente linguistico, opporsi alle direttive suggerite dalla sensibilità poetica moderna, resistere cioè al monolinguismo dell'italiano come lingua nazionale e della poesia troppo massimalizzata da poter esprimere adeguatamente il lascito creativo dell'impulso lirico. Il giovane Pasolini scriveva i suoi componimenti in italiano37 e, parallelamente alle poesie dialettali, si cimentava nei componimenti in lingua de L'usignolo della Chiesa Cattolica. In forte osservanza della tradizione poetica classica di Teocrito, di Virgilio, Pasolini affianca la sua formazione umanistica all'esperienza di una lingua pura, vergine, che non manca di rammentare l'esempio pascoliano38. La scelta a favore del dialetto è dunque da addurre ad una motivazione di tipo ideologico, sottintendendo inoltre una questione linguistico-personale che il poeta affronta nel suo più importante saggio degli anni Cinquanta: "Il friulano divenuto oggetto di accorata nostalgia, sensuale in origine [...] ma coincidente poi con la nostalgia di chi viva, e lo sappia, in una civiltà giunta a una sua crisi linguistica, al desolato e violento "je ne sais plus parler" rimbaudiano"39. Pasolini vede inizialmente nel friulano una forza oppositiva al centralismo nazionalista e omologatore del regime fascista, responsabili di una certa ascendente deformante sui terni della guerra e della morte affrontati prima e durante La meglio gioventù.40

Nel Romancero del 1953, i temi della resistenza allo straniero, dell'identità contadina e di quella borghese, il motivo del lavoro e della fatica, dei sogni di rivalsa e dell'espatrio, sono affrontati in chiave polemica41 e vengono disposti sconnessamente e frammentariamente sulla pagina:

Strussant i pies tal polvar stralumìs di straca

a van via i Todèscs, pioris ta la fumata.

A van tra li massèeiis tra Ii cassis bagnadis

russant i sclops tal fangu da li pì scontis stradis.42

La configurazione grafica dei versi interessa, in prima analisi, il ritmo del componimento. Nella fattispecie 1'andamento frammentario, angoloso, fuorviante delle unità, precorre emblematicamente la crisi della scrittura pasoliniana, volta a riconsiderare il dialetto come una lingua spacciata dalla caduta della società proletaria e contadina. Dalla linea smossa di questi versi emerge il senso di un risveglio di coscienza, da parte dello scrittore, al cospetto dell'impraticabilità di una via di uscita dalla realtà storica contemporanea, resa percorribile soltanto con "un viaggio a ritroso dell'io."43

Pasolini rievocherà i tempi della sua infanzia preso da un senso di dolcezza misto a quello più imperante di ribellione. Rammenterà quei giorni corne una regressione virginale e funerea:44 "La vita finisce dove comincia" è un precetto contraddittorio, non esplicato ne La meglio gioventù ma promosso ne La nuova gioventù, in congiunzione ai quindici componimenti-di altra provenienza-confluiti nella raccolta e segnalati dalPautore nel 1974.45 La grandezza del dialetto materno, come lingua della comunicazione e parola privata, precipita e scandalizza nel momento in cui Pasolini lo riprenderà non soltanto per fame oggetto della sua accusa intellettuale, ma perché quella stessa parlata era stata usata, fino ad allora, esclusivamente da poeti, filologi e dagli autoctoni. Adesso il poeta torna ad impiegarlo per incriminare le macchie del sistema politico italiano.

Atto storico e politico che non solo gli deve fornire (al poeta) i dati chiari del proprio rapporte con la società-poiché si tratta di due entità in movimento, spesso drammatico -: ma che gli deve fornire inoltre i mezzi di una modifica, di una influenza, del proprio fare poetico, su quella società46.

Ebbene, questa sua convinzione sarà destinata a rimanere inalterata anche nella disperazione degli ultimi componimenti. In Transumanar e organizzar l'autore aveva cercato di essere poeta che dice solo cose47 affinché la poesia, diluita nella realtà, si facesse esclusivamente voce di vita. Ma Pasolini sentira il desiderio dei "segni fatti musica / la poesia cantata e oscura / che non esprime nulla se non se stessa"48. Il friulano, come unità sonora, corne rosada, tornerà al suo orecchio per fornigli i suoni materiali, i rintocchi duri e astiosi, adatti a intonare la disfatta sociale e il tralignamento delle coscienze.49 L'epicentro di questa realtà, perduta e smangiata dal tempo,50 è individuabile ancora nella ripresa del friulano corne lingua "non sua, ma parlata da coloro che egli amava con dolcezza e violenza, torbidamente e candidamente; il suo regresso da una lingua all'altra-anteriore e infinitamente più pura-era un regresso lungo i gradi dell'essere"51.

Altro tema sostanziale della poetica dell'ultimo Pasolini è quelle che interessa la figura del padre e, secondariamente, quella dei figli, motivo già a suo tempo affrontato in Transumanar e organizzar con l'augurio "che dalla tragedia dovuta al fallimento del Movimento Studentesco nasca una nuova figura di "figlio," che riabbia miracolosamente le antiche caratteristiche dell'umiltà, dell'ubbidienza, della ribellione non aggressiva, dell'ansia di sapere, della grazia legata alla gioventù magari anche corne peccato di rassegnazione o sensualità o spensieratezza, della forza rivoluzionaria ma non trionfalistica, ecc. ecc."52 Nella stessa occasione lo scrittore, riferendosi ad una serie di poesie dedicate a Maria Callas, scrive di sé, pur celandosi dietro la terza persona: "parla di un "vuoto nel cosmo," che è un vuoto per lui, non per gli altri: ché anzi, proprio in quel vuoto sorge la Città: la quale città è fondata dal Padre. Il vuoto nel cosmo significa dunque per Pasolini, la sua totale inesperienza del Padre. La sua cultura gli proviene, di conseguenza, tutta da Lei, la Repressa, la Madre tenuta in campagna, o ai margini della Città" dove le coppie Città-Padre, Campagna-Madre-ma anche Friuli-Roma-vengono ripresentate in tutte le iniziative intellettuali dell'autore e non solo nella sua opera in versi.53 In particular modo, le poesie alla Callas rivelano il vuoto incendiario, lo scafo mancaante di un padre non visibile, mai visto, la cui assenza diventa, nella mente dello scrittore, quasi ossessione al punto taie da stabilire una correlazione blasfema ed impossibile tra lui (scrittore e figlio) e l'altro (suo padre). In questa reazione al vuoto che opprime, è riposto il sottile tentativo da parte di Pasolini di destituire la figura paterna, più che mai sovrastante. La rilettura al negativo de La meglio gioventù segna l'impraticabilità di un ritorno ad una realtà originaria di purezza: la violenza esercitata dai "padri" sui "figli" degli anni '40 diviene metaforicamente, in rilettura, la condizione negli anni '70 dei "figli" che, come i padri, ripetono le solite violenze precedentemente impartitegli.

Con l'affermarsi di un "universo orrendo", in cui la religione dell'innocenza è ridotta a "letame per i sogni"54, torna l'antica nostalgia di quelle realtà mitologiche ed eroiche che si ripresentano letteralmente in extremis alla coscienza come impersonificazioni da tollerare, da riconoscere, per poi demolirle in ultima sede. A questo consegue la necessità di rileggere la materia passata, di riprendere la questione dei padri come "vecchi Antifascisti che sono i veri fascisti", mallevadori cioè di "un antifascismo / gratificante ed eletto, / e soprattutto molto popolare"55. Quanto scritto in precedenza viene dunque rivisitato e coniugato al livore "corsaro" provato nei confronti di una borghesia matura e per questo ancora più dannosa. Riscriversi significa, per il poeta, manifestare l'acrimonia provata al cospetto di un mondo sempre più per adulti e sempre meno adeguato alla vitalità della "meglio" gioventù di una volta.

L'ultimo Pasolini, quelle della seconda forma e della seconda abiura, si volta a guardare indietro nel tempo per condannare il passato, riconsidera l'assenza del padre per fame motivo di una requisitoria ai criteri, alla normalità criminale e volgare, alla libertà ficta e a tutto ciò che si contrappone all'antico 'Eνθουσιασμòç dionisiaco. Nondimeno, in Saluto e augurio, !'ultima poesia in friulano e, più ampiamente, l'estremo congedo dello scrittore dalla vita e dall'opera, affida il suo testamento nelle mani di un giovane fascista immaginario affinché, facendo propria la volontà a difendere la mitologia taciuta, "difenda, conservi e preghi"56 il paese in cui è stato originate e riponga nel cuore la parlata dei suoi genitori, facendola risplendere di significato. La speranza si estende oltre la vita e la gioventù, affinché questo "fascista giovane" di "ventuno, ventidue anni" "ami" i "poveri" e "creda" nei "padroni," tutti "figli di padri" alla solita maniera purché aderiscano al "sentimento della vita". Soltanto lo scandale, che deriva dal gesto dell'eredità pasoliniana riposta in un giovane distante da lui, diverso ideologicamente ed emotivamente,57 farà "risplendere" il suo messaggio nel "cuore" del mondo a cui sente di non appartenere più. Pasolini sente di non potersi più accollare il "peso" di una lotta mirata a restituire al mondo la felicità antica dell'universo, contro la regola e il preconcetto perché, corne si legge ancora ne La nuova gioventù, "un vecchio ha rispetto del giudizio del mondo: anche se non gliene importa niente. E ha rispetto di ciò che egli è nel mondo. Deve difendere i suoi nervi, indeboliti e stare al gioco a cui non è mai stato". A questa ultima tappa di speranza, a cui giunge l'estremo viatico del casarsese, l'originario impulso pedagogico non è ancora del tutto sopito58 e la figura paterna supera il controveleno del rifiuto: il padre, non più scandaloso e battuto nella sua diversità, torna nella figura di un "figlio"59 a cui Io scrittore si rivolge affinché continui, per lui, la battaglia per un mondo migliore, più essenziale; nelle sue mani ha consegnato Io scandalo del suo messaggio che, se verrà veramente accolto, voterà il figlio ad una nuova diversità.

Il tema del padre acquista dunque, al capolinea, l'idea salda e luminosa della speranza e il senso di una redenzione vissuta corne un cammino leggero verso "la vita, la gioventù", ovvero verso la pregnanza sempreverde di un messaggio testimoniato con la morte.

II

L'esigenza di una maggiore razionalizzazione della poesia e del suo incarico civile, avvertita dallo scrittore negli ultimi suoi versi, indica la volontà di questi a parificare la poesia alla prosa e alla saggistica. È corne se scartasse anche quella esilarante flessibilità stilistica e tematica di cui si è fatto latore, pur non dimenticandosi di tutte le combinazioni accampabili del genere poetico; categoria che finisce per essere materia soggetta ad un processo di soppressione e di abiura.

Nella produzione in versi dell'ultimo Pasolini si assiste ad un dissesto del soggetto poetico dovuto alla disapprovazione di esso come unico motivo del cantus,60 presupposto promosso dall'Io-mediante scelte stilistiche in verità ben precise-affinché il dramma private esprima con più forza quelle storico. Nel momento in cui il poetare è divenuto materia da mercificare, Pasolini espone-con brutalità senza esempio-la miseria e la sconfitta di poeta, governando il senso della sua esperienza verso il capolinea61. Con il neocapitalismo si è verificato il collasso della speranza alla quale va a congiungersi la fine della fiducia nella politica e nella carica pedagogica della poesia che, seconde Pasolini, è stata la sola voce, fino agli anni Cinquanta, capace di conferire al popolo un'identità dignitosa. Con la soppressione della valenza educativa del cantus si assiste ad un franamento caricaturale della figura dello scrittore di versi62 che viene percepito-perché cosï si auto-giudica-anacronistico.63

La volontà di Pasolini di collocarsi dunque fuori dal tempo implica un distanziamento dal presente,64 affinché l'estremo messaggio della poesia sia motivo di una profezia che, a ventotto anni dalla morte, davvero brucia corne un male febbrile. La crisi del poeta, che rinviene il primo prodrome a partire dagli anni Sessanta, non è sganciabile dalla pluridirezionalità delle sue esperienze artistiche. Tra il 1956 e il 1959 lo scrittore è stato critico di poesia per "Il punto," iniziativa decisamente aperta alla nuova sensibilità letteraria. Un anno più tardi è critico cinematografico del settimanale "Reporter," interviene per "Il Giorno" e per "Paese Sera" ed è impegnato con Moravia in un ciclo di conferenze sul dialetto, la lingua e il romanzo a Bari, Napoli, Roma, Milano e Torino per conto dell'Associazione Culturale Italiana. Durante il Premio Strega dello stesso anno, recita un'epistola in versi intitolata In morte al realismo, confluita poi ne La religione del mio tempo,65 poesia che vuole essere una critica al "socialisme bianco" di Cassola, all'"elezione stilistica" e al "neopurismo". NeI 1961 vince il Premio di poesia di Chianciano con La religione del mio tempo. Gli anni della crisi sono dunque anni di grande fermente: nelle pieghe di quei giorni s'insinua un intenso lavorìo artistico che rende possibile il varo di alcune opère corne Storia interiore, autobiografia d'autore garante delle prime spinte formali de // sogno di una cosa, e progetti di romanzo corne // rio della grana, Storia burina e La mortaccia che, come afferma Siciliano "tentano di ripossedere la materia folgorata da Ragazzi di vita-quel mondo andato in nero, oppure ora con Accattone abbacinato dalla luce che "sfondava" in una carrellata contro natura"66. A questi frangenti dell'evoluzione pasoliniana, risale la traduzione dell'Orestiade di Eschilo che lo scrittore sarà successivamente intenzionato a sommare al corpo narrativo di Petrolio, lettura richiesta per altro da Vittorio Gassman per la compagnia del Teatro Popolare. In ambito cinematografico, collabora con Mauro Bolognini per la sceneggiatura de La notte brava e La giornata balorda e con Bertolucci per il soggetto de La comare secca.

Gli anni critici della poesia non sono indagabili esclusivamente in Poesia in forma di rosa, le cui sezioni dichiarano la "morte della poesia"67 per l'appunto, ma sono riscontrabili, più ampiamente, in tutte le altre forme dell'opera pasoliniana-secca, tagliente, lavorata sul vivo-corne esplicazione della crisi dell'lo.68 Quando l'autore parla di un'esclusione dalla vita non lo dice in chiave metaforica perché, in definitiva, riceve espressamente un'ingiunzione di sfratto dal mondo letterario italiano, viene squalificato nel suo impegno, nella sua funzione e nella sua dignità di poeta. E Poesia in forma di rosa nasce anche in difesa da una vera persecuzione. Si consider! a tal proposito il caso enunciato in Pietro 11 in replica alla condanna per vilipendio alla religione di stato, subita dal cineasta per il film La ricotta.69 In quegli stessi giorni del 1963, s'infittiscono gli attacchi a Pasolini da parte della critica di destra.70 È importante osservare corne queste accuse abbiano aggravate il profonde iato che l'ultimo Pasolini coglie tra lo e storia; degrinazioni che sconvolgono il private implicando anche l'avvio di un processo di straniamento della testimonianza letteraria nonché un potente tentative di alienazione dello scrittore71. EgIi rifiuta la nuova immagine di uomo pubblico che l'opinione comune del tempo gli aveva attribuito, al punto taie da scrivere a Salinari: "Tu sai benissimo che la mia vita mondana non esiste, è una totale invenzione della stampa di destra."72

Il senso di disperazione che permea l'opera in versi di Pasolini, da Poesia in forma di rosa in poi, è quanto émerge dal nuovo rapporte che l'autore stabilisce con la società del tempo. Il poeta di Casarsa, accompagnato da Moravia, Bassani, Cassola ed altri ancora, si ritrova confinato ai limiti del panorama intellettuale e culturale contemporaneo per mano dell'intraprendenza antirazionale e anti-storica del Gruppo '63. Eppure, aveva cercato un sostegno ed un dialogo con Vittorini, Leonetti e con Calvino come si apprende dal colloquio narrato nel poemetto Poesia in forma di rosa.73 Ma Vittorini, con "II Menabo," voltava ad abolire il fronte che opponeva tradizione ad avanguardia, promovendo uno stile che interpretasse la mobilità délia realtà industriale. Differentemente, Leonetti, Calvino e Pasolini tendevano ad "assorbire al lavoro del "Menabo" quanto di innovative veniva realizzato nell'Europa dele lettere, trasformare la rivista in uno strumento internazionale di cultura e di conoscenza"74. Pier Paolo cedeva allora alla tentazione di recuperare il parametro storico e quelle morale rimpannucciandoli-in una sintesi realistica-coi lembi vividi della sua poesia e del suo saggismo politico. La storia viene rimpiazzata dalla sociologia e Pasolini, per continue istinto di resistenza, scriverà da ultimo: "In questo mio racconto,-su cio devo essere brutalmente esplicito-la psicologia è sostituita di peso dalPideologia"75. Questa precisazione non ha che un merito: la franchezza. Con parole ford e molti pugni sul banco, lo scrittore rinnova la sua speranza nell'ideologia corne unica realtà salvifica dal vuoto macabro-lasciato dal genocidio-e opponibile al brutto diroccamento delie coscienze.

Dopo la comparsa di Poesia in forma di rosa, il discorso in versi del poeta segna una battuta d'arresto, a favore di una linea d'indagine nelle corde délia saggistica. Con la lingua del saggio-idropica, essenziale, spoglia di ars oratoria-Pasolini cerca di restituire alla scrittura un'efficacia ragionata ed esplicativa. L'autore estende la sua crisi oltre gli spazi vulnerabili dell'Io e del privato, corne per trovare una maggiore giustificazione alla sua condizione: alla sua crisi si somma quella di una letteratura che è soltanto in grado di evocare la realtà ed è per questo subordinata al linguaggio cinematografico che non evoca, orecchia ? rimastica la vita, bensi la rappresenta76. Negli anni délia seconda abiura, la poesia pasoliniana trova nella chirurgia del saggio le sue ultime disposizioni e nella luce mortifera del cinema un solenne sudario.

Già a partire dagli anni Sessanta il casarsese non era solamente conosciuto come scrittore di Ragazzi di vita e corne il poeta de Le ceneri di Gramsci. La sua risonanza intellettuale nella società del tempo acquisto maggiore rilievo per i viaggi effettuati in Africa e in India, per gli esordi cinematografici di grande successo e, soprattutto, per il suo tendere verso una concezione malinconica ed appassionata délia società italiana e del comunismo; proiezione nostalgica destinata a non diminuire neanche nello spirito di ricusa degli ultimi motti sentenziosi di cui si avvale il suo messaggio in versi.77 In lui non sussiste il desiderio di conformarsi ai tempi che corrono naufragando il passato. Rifiuta piuttosto un'idea moderna di se78 e gli ultimi componimenti, che piegano verso Pangolosità di frasi tagliate e verso una teoria di accuse maldicenti, stanno sulla pagina a testimoniare che il poeta non può assimilarsi allé direttive suggerite dalla società contemporanea.79 Tuttavia !'ultima raccolta in versi de La nuova gioventù segna la caduta délia diversità perché lo scrittore, a favore dello scandalo, si colloca ben oltre la coscienza definitoria délia propria incompatibilità con la normalità dei tempi; la diversità viene rimossa anche corne strategia letteraria a supporto délia propria bestemmia. Già in Poesia in forma di rosa lo scrittore ricerca possibili alleanze con gruppi minoritari corne i negri e con altre schiere di segnati e diversi; una mano stesa verso realtà sempre più remote, verso popoli lontani che vengono inclusi nel canovaccio di alcune iniziative cinematografiche quali Appunti per un film sull'lndia del '68 e Appunti per un'Orestiade africana del '69. Parallelamente Io scrittore intona la sua condanna agli effetti degradanti dell'industrializzazione e dell'omologazione, effetti che vengono ampiamente segnalati negli Scritti corsari e ripresi, in ultima analisi, nei componimenti de La nuova gioventù.80

L'ultima opera di Pasolini è volta proprio a ripercorrere i tratti mostruosi di questo universe orrendo generate dalPaffermarsi di un potere terroristico e di consumo che, contrapposto ad una visione nostalgica della realtà paleoindustriale, aggrava l'amarezza provata con Ia scomparsa del referente contadino e proletario81. La caduta della diversità avviene nello scrittore a partire dalle sue ferme reminiscenze originarie fino ai suoi ultimi tentativi di interazione; ma questa caduta è soprattutto la resa della sua differenza come soggetto di "scandalo" e di violazione anti-capitalistica e anti-borghese. Pasolini entra in crisi corne intellettuale borghese che si oppone alla propria classe, tentando di rafforzare la sua "scandalosa diversità" stringendosi ad altri "scandalosi diversi." Con la forza livellatrice del Capitalismo e con l'avvento di una maggiore consapevolezza delle masse che oppongono ad essa una più potente, ma altrettanto ficta, controforza liberatoria, il carattere mitologico e la funzione dissacratoria della "diversità" tende ad annullarsi, segnando anche la fine dell'attività misterica e precorritrice del cantus.

Saluto e augurio è il componimento di chiusura de La nuova gioventù, potremmo dire l'explicit ? il congedo dell'estremo messaggio in versi di Pasolini. La versione contenuta in Volgar' eloquio si distingue da Saluto e augurio de La nuova gioventù per la presenza di alcune variant! di stile e di lessico, per alcune espressioni riprese da Pound e per un'apologia délia lalìa che sorge dal profonde. Leggermente variata è invece la parte finale: "Prendi questo fardello [peso] ragazzo che mi odi e portalo tu. E meraviglioso [risplende nel cuore]. lo potrò così andare avanti, alleggerito [e io camminero leggero] scegliendo definitivamente [per sempre] la vita, la gioventù"82. Hic desinit cantus e qui non conviene limitarci a tradurre Cantus con poesia ma con azione: Cantus = Poiesis. Nel semenzaio linguistico friulano, tra le Villotte friulane pubblicate da Luigi Ciceri nel 1964 con il contributo del C.N.R, ce n'è una che dice:

E jo cjanti, cjanti, cjanti,

e no sai bielsol parce;

e jo cjanti solamentri

che par consolarmi me.83

Luigi Ciceri, nell'introduzione alla raccolta, rileva come in questi versi sia contenuto tutto il senso della tradizione poetica popolare del Friuli: cantus corne motivo sostanziale di vita per cui essere e respirare. Questa villotta ripristina il significato di cui si fa motore profonde, nel panorama lirico europeo di questo secolo, un celebre emistichio di Rilke che Pasolini ha letto, probabilmente, nella traduzione di Giaime Pintor. Questa coppia di versi recita: "Singen ist dasein", tradotta da Pintor con "Cantare è per te esistere", dove singen conosce un corrispettivo importante in ausdrucken ossia nel cantus come ragione di vita, corne coagulo di senso, corne attività speculare che il poeta è chiamato a compiere sulla parola al fine di esprimersi. Singen ist dasein, non corne intenderebbe D'Annunzio, non alla maniera dei letterati. Il dasein corne questione di vita, dell'essere (sein) qui (da) adesso-hic et nunc-; è un'adesione assoluta alla società, è uno stato carico di un senso etico/pedagogico in quanto Singen (la creazione artistica e linguistica del Pasolini prima dell'abiura).

Dunque "ausdrucken ist dasein" corne "jo cjanti solamentri / che par consolarmi me" che, nella fattispecie pasoliniana, diventa "Esprimersi e morire". "Hic desinit cantus" segna l'avviamento alla morte corne massima espressione, ovvero il cantus-divagando e immiserendo senza più una ragione per la quale esistere-viene soppresso affinché il senso di quanto è stato detto, celebrato e precedentemente vissuto sia preservato nel tempo. "Hic desinit cantus" significa la fine della parola friulana corne sonoritas, rosada, antica verborum dulcedo pasoliniana, che ricorda tanto la monoliticità lirica del Petrarca. Con la formula di congedo "Hic desinit cantus" quadra dunque la volontà del poeta (innamorato del rannicchiamento) ad esprimersi non più con la poesia-tramortita e spogliata della sua carica pedagogica (nel momento in cui l'individuo non è più capace di ascoltare tanto meno di pensare)-bensì con il silenzio. Il silenzio è il lascito del gesto risolutivo di una morte da interpretare corne termine opposto di "Singen ist dasein" ossia corne eutanasia del cantus; più apertamente, corne trasgressione degli imperativi poetico-espressivi e quindi esistenziali.

Università degli Studi di Firenze

* Una prima versione di questo studio è contenuta nel volume di G. Tuccini, Il vespasiano e l'abito da sposa. Fisionomie e compiti della poesia nell'opera di Pier Paolo Pasolini, Pasian di Prato, Campanotto Editore, 2003.

1. P. P. Pasolini, Poesie (antologia scelta dall'autore), Milano, Garzanti, 1970.

2. Il senso della speranza si prospetta nell'opera dell'ultimo Pasolini corne una recessione: "Torniamo indietro, col pugno chiuso, e ricominciamo daccapo. Non vi troverete più di fronte al fatto compiuto di un potere borghese ormai destinato a essere eterno. Il vostro problema non sarà più il problema di salvare il salvabile. Nessun compromesso. Torniamo indietro. Viva la povertà. Viva la lotta comumsta per i beni necessari". P. P. Pasolini, Appunto per una poesia in terrone, in Bestemmia, Tutte le poesie, La nuova gioventù, vol. II, a cura di G. Chiarcossi e W. Siti, con prefazione di G. Giudici, Milano, Garzanti, 1995, p. 1183. Tuttavia questo auspicio è votato ad essere sconfitto, poche pagine più avanti, dalla consapevolezza di un rifiuto popolare del "tornare indietro": "...non vogliono la miseria, / non vogliono regresso e recessione: / la parola d'ordine è "Avanti!"." P. P. Pasolini, Domande di un comumsta comune, in Ivi, p. 1187.

3. Scrivo "rinnovata" perché, come si apprende da La nuova gioventù, la riprovazione del poeta affonda le sue radici già a partire dagli anni Cinquante: "Queste parole di condanna / hanno cominciato a risuonare / nel cuore degli Anni Cinquanta / e hanno continuato fino a oggi". P. P. Pasolini, Versi sottili come righe di pioggia, in Ivi, p. 1191.

4. "No podevi convinsimi / che encia ta un borghèis / a era ale da amà: / chel ch'a amava me mari / in me, pur e dispressàt". Traduzione: "Non potevo convincermi / che anche in un borghese / ci fosse qualcosa da amare: / quel qualcosa che amava mia madre / in me, puro e negletto". P. P. Pasolini, O me donzel, in Ivi, p. 1085.

5. "I ti ris, magari, ma il ridi / a no ti ven su da chel grin / dulà che un bigul frèit e sec / al è doma che un sèin tai blu-jeans". Traduzione: "Ridi, magari, ma il riso non ti viene su da quel grembo, dove un cazzo freddo e secco non è che un segno nei blue-jeans". P. P. Pasolini, A Rosari, in Ivi, p. 1137.

6. "O ciamps lontàns! Miris'cis! / Ciantànd o no ciantànd / no sai coma ne quand, / alc di umàn al è finìt!". Traduzione: "Campi lontani! Mirische! / Cantando o non cantando, / non so corne né quando, / qualcosa di umano è finito!". P. P. Pasolini, Vilota, in Ivi, p. 1112.

7. "Tornà! Peràula / dai me timps, co' l'omp / coma la siminsa / al veva bisugna dal co ciamp". Traduzione: "Tornare! Parola / dei miei tempi, quando l'uomo / come il seme / aveva bisogno del suo campo". P. P. Pasolini, Ciants di un muàrt, in Ivi, p. 1131.

8. "FF Cui stes vuj ch'i vevi / tal nustri prinsipi, / i vuardi il tornà / fais dal mondo. / I pras, il soreli / a tornin coma ch'a erin / chè altris viertis: / ma no la veretàt". Traduzione: "FIGLIO Con gli stessi occhi che avevo / al nostro principio, / guardo il falso ritornare / del mondo. / I prati, il sole / tornano corne erano / nelle altre primavere: / ma non la verità". P. P. Pasolini, La domènica uliva, in Ivi, p. 1119.

9. "Che paese meravigiioso era l'Italia durante il periode del fascismo e subito dopo! La vita era corne la si era conosciuta da bambini, e per trent'anni non è più cambiata: non dico i suoi valori [...] ma le apparenze parevano dotate del dono dell'eternità: si poteva appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione, ché tanto quella meravigliosa cosa che era la forma della vita, non sarebbe cambiata [...] sarebbero giustamente migliorate soltanto le loro condizioni economiche e culturali, che non sono niente rispetto alla verità preesistente che regola meravigliosamente immutabile i gesti, gli sguardi, gli atteggiamenti del corpo di un uomo o di un ragazzo. Le città finivano con grandi viali [...]". P. P. Pasolini, Sandro Penna: "Un po' di febbre," in Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1993, p. 143.

10. P. P. Pasolini, / segni viventi e i poeti morti, in Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1972, p. 251, ma anche in Essere è naturelle?, in Ivi, p. 247.

11. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1985, p. 188.

12. "Rifacendosi alia classica distinzione di Gianfranco Contini, egli contrappone alia tradizione della lingua "centralizzata" al canone monolinguistico di origine petrarchesca, alla lingua assoluta e quasi astorica nella sua suprema purezza, la tradizione pluristilistica che da Dante discende a Verga". G. C. Ferretti, La contrastata rivolta di Pasolini, in Letteratura e ideologia, Roma, Editori Riuniti, 1964, p. 163.

13. "L'antitesi è rilevabile a tutti i livelli di scrittura [...] fino alla sua più frequente figura di linguaggio, quella sottospecie dell'oxymoron, che l'antica retorica chiamava sineciosi, e con la quale si affermano, d'uno stesso soggetto, due contrari". F. Fortini, La contraddizione, in Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 21.

14. "Oscurità uguale luce". P. P. Pasolini, La Oivina Mimesis, nota introduttiva di W. Siti, Torino, Einaudi, 1993, p. 5.

15. G. Giudici, Prefazione a P. P. Pasolini, Bestemmia, Tutte le poesie, vol. I, cit., p. X.

16. P. P. Pasolini, Progetto di opere future, Poesia in forma di rosa, vol. II, in Ivi, p. 819.

17. "Pasolini si trova ad operare nella letteratura con gli strumenti offerti dalla lingua e dallo stile, mirando però sempre alla cattura di una presunta realtà immanente al di fuori del linguaggio". E. Liccioli, La scena della parola: teatro e poesia in Pier Paolo Pasolini, Firenze, Le Lettere, 1997, p. 13.

18. Corne si apprende dal paragrafo sul principio di contraddizione nel Dizionario encidopedico difilosofia, Firenze, Le Lettere, 1982: "Qualcosa si muove, ha un istinto e un'attualità solo in quanto ha in se stesso una contraddizione".

19. E. Liccioli, La scena della parola: teatro e poesia in Pier Paolo Pasolini, cit., p. 19.

20. P. P. Pasolini, Le belle bandiere, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 251.

21. P. P. Pasolini, Petrolio, Torino, Einaudi, p. 410.

22. P. P. Pasolini, Scritti corsari, cit., p. 134.

23. "Stringono la ragazza intorno alla vita / per chilometri e chilometri e poi / cadono svenuti per lo sforzo. / I Nuovi Fascisti lanciano la Coppia". P. P. Pasolini, Agli studenti greet, in un fiato, in Bestemmia, Tutte le poesie, La nuova gioventù, vol. II, cit., p. 1167.

24. "La seconda forma dal timp a è sensa fin". P. P. Pasolini, Ciants di un muàrt, in Ivi, p. 1132.

25. Basti ricordare, in tal senso, le occasion! in cui Io scrittore si riferisce a certi auto ri che riescono a morire "abbastanza" nelle loro opere.

26. Cfr. P. P. Pasolini, L'usignolo, in Bestemmia, Tutte le poesie, 1, L'usignolo della Chiesa Cattolica, vol. I, cit., pp. 302-303.

27. Espressione che si oppone diamentralmente alla visione illustrata in un'altra poesia de La nuova gioventù: "I ài jodùt il mond / doventà veciu intor di me, / e jo i resti zòvin. / Al ven veciu e a no 'I mòur / il mond dulà che jo / i ài sempri chel stes valòur. /1 no soj veciu jo / al è veciu il mond: / vivìnt fin in fond / jo i mòur e lui no". Traduzione: "Ho visto il mondo / diventare vecchio intorno a me, / e io resto giovane. / Diventa vecchio e non muore / il mondo dove io / ho sempre Io stesso valore./ Non sono vecchio io / è vecchio il mondo: / vivendo fino in fondo / io muoio e lui no". P. P. Pasolini, Li letanis dal biel fì, in Bestemmia, Tutte le poesie, La nuova gioventù, vol. II, cit., p. 1086.

28. Vangelo ai Giovanni, 12.24.

29. P. P. Pasolini, L'usignolo, in Bestemmia, Tutte le poesie, 1, L'usignolo della Chiesa Cattolica, vol. I, cit., p. 303.

30. "...e a no à ciatàt pî nuja / pi dois di chel tornà / dai Paris tai Fis". Traduzione: "...e non ha trovato mai nulla / di più dolce di quel tornare / dei Padri nei Figli". P. P. Pasolini, Quinta variante, in Bestemmia, Tutte le poésie, La nuova gioventù, vol. II, cit., p. 1101.

31. "Vivo ormai fuori dalla società. Non voto più allo Strega. Mi sono volontariamente emarginato. La letteratura, nel suo momento sociale, non mi interessa molto... Quanto al silenzio che c'è intorno a me, mi pare solo sintomo di incompetenza, di vigliaccheria; o semplicemente di odio". Giudizio di Pasolini citato in N. Naldini, Pasolini. Una vita, cit.

32. I personaggi elencati in un appunto manoscritto riprodotto di fianco al frontespizio di Petrolio e ri-segnalati sintomaticamente da Paolini all'appunto 19a dal titolo Ritrovamento a Porta Portese, sono: Dostoevski), Gogol, Dante, Swift, Schreber, Strindberg, Longhi, Apollonio Rodio, Ferenczi, Hobbes, Sellers, De Sade, Pound, Propp, Platone, Aristotele, Sterne, Sklovskij, Lukács, Joyce.

33. "Ho sempre sognato, un'idea cara a vari linguisti, [...] una semiologia totale della realtà". P. P. Pasolini, Il sogno del centauro, a cura di J. Duflot, Roma, Editori Riuniti, 1982, p. 25.

34. Cfr. il titolo di un componimento di Poesie a Casarsa: Ciant da li ciampanis, in P. P. Pasolini, Bestemmia, Tutte le poesie, La meglio gioventù, 1, Poesie a Casarsa, vol. I, cit., p. 25.

35. Cfr. la poesia Suspir di me mari ta na rosa, in Bestemmia, Tutte le poesie, La meglio gioventù, 2, Suite friulana, vol. I, cit., p. 97.

36. P. P. Pasolini, Il sogno del centauro, cit., p. 23.

37. "Da bambino ero selettivo ed aristocratico linguisticamente: petrarchesco". Ivi, p. 22.

38. "Il friulano partecipa piuttosto allo statute scientifico d'una lingua minore che d'un dialetto, ciò indica che il dialetto di Pasolini ha già, in quanto materia di fascino dell'inedito, configurando quell'ideale di lingua vergine che per esempio nel 1889 animava nel tedesco Stefan George (1868-1933) gli esperimenti poetici in una "lingua romana" di sua invenzione, e poco dopo nel Pascoli i concetti d'una "lingua che più non si sa" e d'una "lingua morta" da recuperare". G. F Contini, Letteratura dell'Italia unita 1861-1968, Firenze, Sansoni, 1972, p. 1025.

39. P. P. Pasolini, Passione e ideologia, Milano, Garzanti, 1960, pp. 136-137.

40. "La meglio gioventù si riferisce anche alla "meglio gioventù" quella che va sotto terra della canzone militare [...]. In quel titolo c'è un ricongiungersi a un terribile folclore della morte e della negazione, che era quelle delle canzoni della prima guerra mondiale, ripreso poi nella seconda [...]. La partecipazione alla vita del gruppo attraverso la lingua (friulana) voleva dire in realtà partecipare già allora al processo in cui si distruggeva la vitalità di questo gruppo, e in seguito al sentimento di un'oscura violenza corne finale impossibilità del dire: quindi già la parola de La meglio gioventù era una parola di trapassi, di morti". A. Zanzotto, Pasolini nel nostro tempo, in Aa.Vv., Pasolini, l'opera e il suo tempo, a cura di G. Santato, Padova, Cleup Editore, 1983, p. 235.

41. "La nustra ciera a è stada in man dai forestèirs / e nu a ni an puartàt ta n'antra prisonèirs". Traduzione: "La nostra terra è stata in mano agli stranieri / e noi ci hanno portati prigionieri in un'altra". P. P. Pasolini, Il quaranta quatri, in Bestemmia, Tutte le poesie, La meglio gioventù, Romancero, 1, Il Testamento Coran, vol. I, cit., p. 166.

42. Traduzione: "Trascinando i piedi nella polvere, ciechi di stanchezza / vanno via i Tedeschi, pecore nella nebbia. / Vanno tra le macerie, tra le acacie bagnate / trascinando i fucili nel fango, per le strade più nascoste". P. P. Pasolini, Il quaranta sine, in Bestemmia, Tutte le poesie, La meglio gioventù, Romancero, 2, Romancero, cit., p. 167.

43. G. Barberi Squarotti, Pasolini, l'opera e il suo tempo, in Aa.Vv., Pier Paolo Pasolini. L'opera e il suo tempo, cit., p. 18.

44. "I vuardi il me cuàrp / di quan'ch'i eri frut, / li tristis Domèniis, / il vivi pierdùt". Traduzione: "Guardo il mio corpo / di quando ero fanciullo, / le tristi Domeniche. / il vivere perduto". P. P. Pasolini, Li letanis dal bielfi, in Bestemmia,Tutte le poesie, La meglio gioventù, 1, Poesie a Casarsa, vol. I, cit., p. 20. E poi ancora scrive "Il me vias l'è finit". Traduzione "Il mio viaggio è finito". Ivi, p. 23. "Jo i soj muàrt al ciant da li campanis" traduzione "lo sono morto al canto delle campane". Ivi, p. 25. "chistu il pais / par là ch'i soj passat" traduzione "ecco il paese / per dove io sono passato". Ivi, p. 43.

45. Si traita délia nota pubblicata nell'ultima sezione del seconde volume di Bestemmia "Alla sezione Aleluja ho aggiunto Pianti (1943) e Feste di mia madre (1942): i Pianti, prima esclusa e poi pubblicata in Poesie dimenticate (Udine, Società Filologica Friulana, 1965, a cura di L. Ciceri), l'altra, pubblicata in Tal còur di un frut (Nel cuore di un fanciullo) nel 1953 ("Edizioni di Lingua friulana", Tricesimo, sempre a cura di L. Ciceri), e poi esclusa da La meglio gioventù fiorentina (era andata a far parte, la III parte, di Romancerillo). Alla sezione Linguaggio dei fanciulli di sera ho aggiunto una poesia che ho intitolato Tal còur di un frut (Nel cuore di un fanciullo), scritta nel 1949 col titolo Spiritual, e con questo titolo pubblicata nel 1953 nel già citato Poesie dimenticate del 1965. All'Appendice ho aggiunto un'intera senzioncina, Il Gloria (1950-1953), comprendente poesie già escluse e poi uscite nei solid volumetti interlocutori (in Poesie dimenticate, Le campane del Gloria, Un grappolo di uva e Il chiarore; in Tal cour di un frut, I vecchi sapori). Alla sezione Il testamento Còran ho aggiunto L'amou dal cunpai (L'amore del compagne, dialetto di San Giovanni di Casarsa), ripescandolo da Dov'è la mia patria (di cui appunto il Testament Còran è la stesura definitiva); e Chan plor uscito in Tal còur di un frut, non ricordo se perché escluso da Dov'è la mia patria oppure se perché scritto poco dopo". P. P. Pasolini, Nota a La nuova gioventù, in Bestemmia, Tutte le poesie, La meglio gioventù, vol. II, cit., p. 1201.

46. P. P. Pasolini, Dove va la poesia?, in "L'approdo letterario", V, n. 6, aprile-giugno 1959.

47. "Sarò diviso: tacitato e ufficiale, nell'agire, critico e solo / nello scrivere poesie. Non è questa separazione / che si è sempre voluta-forse giustamente? / Non a caso ho sulla schiena la mano sacra e untuosa di San Paolo / che mi spinge a questo passo. / La contemporaneità temporale del transumanar non è l'organizzar?". P. P. Pasolini, Transumanar e organizzar, in Bestemmia, Tutte le poesie, Transumanar e organizzar, vol. II, cit., p. 926.

48. Pasolini scriveva ne Il poeta delle ceneri: "Ebbene ti confiderò prima di lasciarti, / che io vorrei essere scrittore di musica, / vivere con gli strumenti / dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, / nel paesaggio più bello del mondo, dove Ariosto / sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta / innocenza di querce, colli, acque e botri, e lì comporre musica / l'unica azione espressiva: forse alta, ineffabile corne le azioni della realtà". Citazione riportata in F. Pierangeli e P. Barbaro, Pier Paolo Pasolini. Biografia per immagini, Torino, Paravia, 1995, p. 185. Nel 1970 lo scrittore riuscì a comprare il castello.

49. "I fis dai puòrs o a trimin / o a tazin coma i miej / fis dai siòrs. Opùr / a odiin e a dispresin /coma i pèsul fis dai siòrs." Traduzione: "I figli dei poveri tremono / e tacciono come i migliori / figli dei ricchi. Oppure / odiano e disprezzano / come i peggiori figli dei ricchi". P. P. Pasolini, Domande di un comunista comune, in Bestemmia, Tutte le poesie, La nuova gioventù, 2, Suite friulana, vol. II, cit., p. 1188.

50. "Dut chel che tu i ti às vulùt / e che jo i ài fat, cà, tìmit e nut, / adès al è nenfra il siun e la muàrt, / sculurìt quasi romài coma un recuàrt". Traduzione: "Tutto quello che hai voluto / e io ho fatto, restando ansioso e nudo, / adesso è Ira il sonno e la morte, / scolorito quasi ormai corne un ricordo". P. P. Pasolini, Il Diàul eu la mari, in M, p.1159.

51. P. P. Pasolini, Passione e ideologia, cit., p. 136.

52. P. P. Pasolini, in "Il Giorno", 3 giugno 1971.

53. Cfr. F. Bandini, in Aa.Vv., Pasolini cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, a cura di L. Betti, Milano, Garzanti, 1977, pp. 12, 13.

54. "Si sin trovàs / ta un nòuf mond, e tu / i ti sos ledàn par i siuns". Traduzione: "Ci siamo trovati / in un nuovo mondo e tu / sei letame per i sogni". P. P. Pasolini, David, in Bestemmia, Tutte le poesie, La nuova gioventù, 1, Poesie a Casarsa, vol. II, cit., p. 1091. Epoi ancora: "I crot in Diu Pari / tal Fi e tal Spiritu / Sant, i crot tai tìnars / lavris e li mans duris. / I crot ta la Glisia / e tai frus di cutuàrdis àins / ch'a ridìnt si lu menin / ta la grava dal Tilimìnt / là che tai so viàs a no'l è mai rivà San Pauli. / I no crot in Diu Pari / ne tal Fì ne tal Spiritu / Sant, i no crot tai tìnars / lavris e li mans duris. / I no crot ta la Glisia / ne tai frus di cutuàrdis àins / ch'a s'a son manovaj / a somejn a studèns, e il contrari: / a son tri'c e serius coma ch'al vòul San Pauli". Traduzione: "Credo in Dio Padre, / nel Figlio e nello Spirito / Santo, credo nelle tenere / labbra e nelle mani dure. / Credo nella Chiesa / e nei ragazzi di quattordici anni / che si masturbano ridendo / sul greto del Tagliamento: / là dove nei suoi viaggi non è mai arrivato San Paolo. / Non credo in Dio Padre, / né nel Figlio né nello Spirito / Santo, non credo nelle tenere / labbra e nelle mani dure. / Non credo nella Chiesa / e nei ragazzi di quattordici anni / che se sono manovali / sembrano studenti, e il contrario: / sono cattivi e seri corne vuole San Paolo". P. P. Pasolini, Pastorela di Narcìs, in Bestemmia, Tutte le poesie, La nuova gioventù, 2, Suite friulana, pp. 1152-1153.

55. P. P. Pasolini, Versi sottili corne righe di pioggia, in Ivi, pp. 1192-1193.

56. "Difìt, conserva, prea!". P. P. Pasolini, Saluto e augurio, in Ivi, p. 1196.

57. "Fantàt ch'i ti mi odiis". Traduzione: "Ragazzo che mi odi". Ivi, p. 1200.

58. "Ven cà, ven cà, Fedro. / Scolta. I vuèj fati un discors / ch'al somèa a un testamìnt. / Ma recuàrditi, i no mi fai ilusions / su di te: jo i sai ben, i lu sai, / ch'i no ti às, e no ti vòus vèilu, / un còur libar, e i no ti pos essi sinsèir: / ma encia si ti sos un muàrt, ti parlarài". Traduzione: "Vieni qua, vieni qua, Fedro./ Ascolta. Voglio fatti un discorso / che sembra un testamento. / Ma ricordati, io non mi faccio illusion! / su di te: io so, io so bene, / che tu non hai, e non vuoi averlo / un cuore libero, e non puoi essere sincere: / ma anche se sei un morto, io ti parlerò". Ivi, 1195.

59. "Ma i scolti mut e blanc / la vòus ch'a mi ingianava: / Il timp a no'l si mòuf: / jot il ridi dai paris, / coma tai rams la ploja, / tai vuj dai so frutins". Traduzione: "Ma ascolto muto e bianco / la voce che mi ingannava: / Il tempo non si muove: / guarda il riso dei padri / corne nei rami la pioggia, / negli occhi dei loro bambini". P. P. Pasolini, Tornant al paìs, in Bestemmia, Tutte le poesie, La nuova gioventù, 1, Poesie a Casarsa, cit., p. 1096.

60. "[...] Narcisismo! Sola forza / consolatoria, sola salvezza!". P. P. Pasolini, Poesie mondane, in Bestemtnia, Tutte le poesie, Poesia in forma di rosa, vol. II, cit., p. 634.

61. "Nessuno ti richiede più poesia! / E: E' passato il tuo tempo di poeta... / Gli anni cinquanta sono finiti nel mondo! / Tu con Ie Ceneri di Gramsci ingiallisci, / e tutto cio che fu vita ti duole / come una ferita che si riapre e dà la morte!". P. P. Pasolini, "Appendice": La mancanza di richiesta di poesia, in Bestemmia, Tutte le poesie, Poesia in forma di rosa, III, Pietro II, vol. II, cit., p. 700.

62. "[...] il forte scrittore è uno sfinito zingaro / visitato dalla poesia profetica". P. P. Pasolini, Per misteriosa elezione, ora lo scirocco, in Bestemmia, Tutte le poesie, Poesia in forma di rosa, III, Pietro II, vol. II, cit., p. 691.

63. "Destituito di autorità, autore / non più indispensabile, carico / di poesia e non più poeta / (cessa la condizione di poeta, / quando il mito degli uomini / decade... e altri sono gli strumenti / per comunicare con uomini simili... anzi, / meglio è tacere, prefigurando / in narcisistico sciopero, !'ultima pace) / sono di nuovo un disoccupato, io [...]". P. P. Pasolini, Destituito di autorità, autore, in Bestemmia, Tutte le poésie, Poesia in forma di rosa, VI, L'alba méridionale, vol. II, cit., p. 808.

64. "Posso scrivere soltanto profetando" scrive Pasolini.

65. P. P. Pasolini, In morte del Realismo (1960), in Bestemmia, Tutte le poesie, La religione del mio tempo, II, vol. I, cit., p. 559.

66. E. Siciliano, Vita di Pasolini, Milano, Rizzoli, 1978, pp. 232-234 (poi Firenze, Giunti, 1995).

67. P. P. Pasolini, Progetto di opere future, in Bestemmia, Tutte le poésie, Poesia in forma di rosa, VII, Progetto di opere future, vol. II, cit., p. 818.

68. "Intorno ai quarant'anni, mi accorsi di trovarmi in un momento molto oscuro della mia vita. Qualunque cosa facessi, nella "Selva" della realtà del 1963, anno in cui ero giunto, assurdamente impreparato a quell'esclusione dalla vita degli altri che è ripetizione délia propria, c'era un senso di oscurità. Non direi di nausea, o di angoscia: anzi, in quella oscurità, per dire il vero, c'era qualcosa di terribilmente luminoso: la luce délia vecchia verità, se vogliamo, quella davanti a cui non c'è più niente da dire". P. P. Pasolini, La Divina Mimesis, cit., p. 5.

69. "Ecco, sono stato condannato. / Fatto personale, cicuta che dovro bermi da solo [...] / Solo: io, e la Bava che il mostro lascia passando sul mondo". P. P. Pasolini, Ecco, sono stato condannato, in Bestemmia, Tutte le poesie, Poesia in forma di rosa, III, Pietro 11, vol. II, cit., p. 699.

70. "[...] GIi osceni sogni della stampa borghese / hanno questo potere: m'hanno ridotto a Diavolo". P. P. Pasolini, Scommettitori, puntate sulla condanna, in Bestemmia, Tutte le poesie, Poesia in forma di rosa, III, Pietro 11, vol. II, cit., p. 696.

71. "I fai par vuardàmi tal spieli / par jodi se che i soj stat, / ma il spieli al si mouf coma n'aga / e a si mouf se ch'i soj doventàt". Traduzione: "Faccio per guardarmi nello specchio / per vedere che cosa sono stato, / ma Io specchio si muove corne un'acqua, / e si muove ciè che io sono diventato". P. P. Pasolini, Suite furlana, in Bestemmia, Tutte le poesie, La nuova gioventù, II, Suite friulana, vol. II, cit., p. 1145.

72. P. P. Pasolini, Le belle bandiere, cit., p. 165. Pasolini torna ancora a pronunciarsi in merito a questo straniamento della sua immagine scrivendo: "devo questo alla parte pubblica della mia vita: a quel tanto di me che non mi appartiene, e che è divenuto corne una maschera da Nuovo teatro dell'Arte; un mostro che deve essere quelle che il pubblico vuole che io sia. Io cerco di lottare, donchisciottescamente, contre questa fatalità che mi toglie a me stesso, mi rende automa da rotocalco, e finisce poi per riflettersi su me stesso, corne una malattia. Ma pare che non ci sia nulla da fare. Il successo è per una vita morale e sentimentale, qualcosa di orrendo, e basta". Ivi, p. 219.

73. "...io ho sbagliato tutto. / Ah, sistema di segni / escogitando ridendo, con Leonetti e Calvino, / nella solita sosta, nel Nord. [...] / State tranquilli, Denka, / e voi delle centoventi altre tribu / parlant! suoni di ceppi diversi, / perché qui con Leonetti e con Calvino / sistemiamo i sistemi di segni, / e buonanotte ai dialetti. / [...] e con Calvino e Leonetti, Ordinari / di Modernità nelle cattedre del Nord, / si prospetta un'era antropologica / che dissacra i dialetti!". P. P. Pasolini, Poesia in forma di rosa, in Bestemmia, Tutte le poesie, Poesia in forma di rosa, II, Poesia in forma di rosa, vol. II, cit., pp. 670-671 e 675.

74. E. Siciliano, Vita di Pasolini, cit., p. 279.

75. P. P. Pasolini, Petrolio, Appunto 31, cit., p. 119.

76. "Perché sono passato dalla letteratura al cinéma? / Rispondevo sempre che era per cambiare tecnica / che io avevo bisogno di una nuova tecnica per / dire una cosa nuova, / o il contrario, che dicevo la stessa cosa, / sempre e perciè dovevo cambiare tecnica: seconde le / variant! dell'ossessione. / Ma ero solo in parte sincere nel dare questa risposta: / il vero di essa era in quello che avevo / fatto fino allora. / Poi mi accorsi / che non si trattava di una tecnica letteraria, quasi / appartenente alla stessa lingua con cui si scrive, / ma era essa stessa una lingua... / E allora dissi le ragioni oscure / che presiedettero alla mia scelta. Quante volte rabbiosamente e avventatamente avevo detto di voler rinunciare alla / mia cittadinanza italiana! / ebbene, abbandonando la lingua italiana, e con essa un po' alla volta, la letteratura, / io rinunciavo alla mia nazionalità. / Dicevo no alle mie origini piccolo borghesi, / voltavo le spalle a tutto ciò che fa italiano, / protestavo, ingenuamente, inscenando un'abiura / che, nel momento di umiliarmi e castrarmi / mi esaltava. / Ma non ero del tutto sincere, ancora. / Poiché il cinema non è solo un'esperienza linguistica / ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un'esperienza filosofica". P. P. Pasolini, Le regole di un'illusione, cit., p. 15.

77. "Jo i mi vuàrdi indavòur, e i plans / i paìs puòrs, Ii nulis e il fumìnt; / la ciasa scura, il fun, Ii bisicletis, i reoplàns / ch'a passin coma tons: e i frus ju vuàrdin; / la maniera di ridi ch'a ven dal còur; / i vuj che vuardànsi intor a àrdin / di curiositàt sensa vergogna, di rispièt / sensa poura. I plans un mond muàrt. / Ma i no soj muàrt jo ch'i lu plans. / Si vulin zi avant bisugna ch'i planzïni il timp ch'a no'l pôs pi tornà, ch'i dizini di no / a chista realtàt ch'a ni à sieràt / ta la so preson...". Traduzione: "Io mi guardo indietro, e piango / i paesi poveri, le nuvole e il frumento; / la casa scura, il fumo, le biciclette, gli aeroplani / che passano come tuoni: e i bambini Ii guardano; / il modo di ridere che viene dal cuore: / gli occhi che guardandosi intorno ardono / di curiosità senza vergogna, di rispetto / senza paura. Piango un mondo morto. / Ma non son morto io che 10 piango. / Se vogliamo andare avanti, bisogna che piangiamo / il tempo che non puo più tornare, che diciamo di no / a questa realtà che ci ha chiusi nella sua prigione...". P. P. Pasolini, Signiftcato del rimpianto, in Bestemmia, Tutte le poésie, La nuova gioventù, Tetro entusiasmo, vol. II, cit., p. 1171. Gli aeroplani che passano corne tuoni evocano 11 mondo di Amado mio.

78. "Io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d'altare, dai borghi / abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, / dove sono vissuti i fratelli. / Giro per la Tuscolana come un pazzo, / per l'Appia come un cane senza padrone. / O guardo i crepuscoli, le mattine / su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti della Dopostoria, / cui io assiste, per privilegio d'anagrafe, / dall'orlo estremo di qualche età / sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscère di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro / più moderno di ogni moderno / a cercare fratelli che non sono più". P. P. Pasolini, Poesie mondane, in Bestemmia, Tutte le poésie, Poesia in forma di rosa, I, La realtà, vol. II, cit., p. 637.

79. "Eternamintri R / e Frut, ti ti recuàrdis / ben da l'Ave, parse / ch'i ti sos me fradi: I cussi fi ta la vita, / e fradi tal pensa / a la vita, doi distìns, / divièrs la prima volta, / la seconda volta / a son cunpàins: / ma tu i ti as / ormai un'altra mari". Traduzione: "Eternamente Figlio / e Bambino, tu ti ricordi / bene dell'Ave, perché / sei mio fratello: I cosi figlio nella vita / e fratello nel pensare / alla vita, due destini / diversi la prima volta, / la seconda volta / sono uguali: / ma tu hai / ormai un'altra madré". P. P. Pasolini, Romancerillo, in Bestemmia, Tutte le poésie, La nuova gioventù, 1, Poésie a Casarsa, vol. II, cit., pp. 1114-1115.

80. "A erin mil / i Fogolàrs / e mil Ii formis / dai vecius Omis. / Doma Diu Un. / Vuei Fogolàrs / Omis e Diu / a son 'na sola / forma par ducius. E Ia Cosiensa / a è un feme in me / MA SENSA EUS". Traduzione: "Erano mille / i Focolari / e mille le forme / dei vecchi Uomini. / Solo Dio era Uno. / Oggi Focolari / Uomini e Dio / sono una sola / forma per tutti. / E la Coscienza / è in me un fuoco, / MA SENZA EUCE". P. P. Pasolini, La domènia uliva, in Bestemmmia, Tutte le poésie, La nuova gioventu, 1, Poésie a Casarsa, vol. II, cit., p. 1126.

81. "Insuniati di me / a veul dizi judicàmi. / Un fil di aria sensa anima / a è dut chel ch'a parla / dai zovins cuntadïns." Traduzione: "Sognarti di me / vuol dire giudicarmi. / Un filo di aria senza anima / è tutto ciò che parla / dei giovani contadini". P. P. Pasolini, Aleluja, in Ivi, p. 1106. E poi ancora: "Contadïns di Chia! / Za sentenàrs di àins o zà un moment, / jo i eri in vu. / Ma vuei che la ciera / a è bandunada dai timp, / vu i no sèis in me. / Qualchidùn / al sint un cialt tal so cuàrp / 'na fuarsa tal zenoli...". Traduzione: "Contadini di Chia! / Centinaia di anni ? un momento fa, / io ero in voi. / Ma oggi che la terra / è abbandonata dai tempo, / voi non siete in me. / Qualcuno / sente un calore nel suo corpo, / una forza nel ginocchio...". P. P. Pasolini, Ciants di un muàrt, in Bestemmia, Tutte le poésie, La nuova gioventù, 2, Suite friulana, vol. II, cit., p. 1135.

82. Segnaliamo tra parentesi quadre le variant! presentate nel componimento de La nuova gioventù rispetto a quelle di Volgar' eloquio. P. P. Pasolini, Volgar' eloquio, Roma, Editori Riuniti, 1987, p. 25.

83. Traduzione: "E io canto, canto, canto, / e non so perché così solo / e io canto soltanto / per consolare me stesso". È la villotta numéro quattrocentocinque, celebrata per la prima volta nel 1928 da un anziano di Comeglian, il paese della Carnia di cui è originario il poeta Leonardo Zanier.

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